Gli estremi di una presidenza


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Gli estremi di una presidenza
Di Eugene Robinson
26 settembre 2014
Il Presidente Obama ha iniziato la sua presidenza con la richiesta di un “nuovo inizio tra gli Stati Uniti e i Musulmani di tutto il mondo.” La terminerà come un guerriero riluttante e per nulla dispiaciuto, che usa la forza militare degli Stati Uniti per distruggere gli estremisti islamici e la “rete di morte” che hanno piantato nel cuore del Medio Oriente.
Il discorso che ha fatto Obama al Cairo nel 2009 e quello tenuto alle Nazioni Unite mercoledì 24 settembre, possono essere considerati due estremi. Nei mesi esaltanti dopo la sua elezione, Obama sperava di essere ricordato come il presidente che aveva creato una nuova pace tra il mondo islamico e il mondo occidentale. Ora, mentre non abbandona del tutto quella speranza, Obama dice che per prima cosa ci deve essere la guerra tra i jihadisti “assassini” che non comprendono nessuna lingua se non “la lingua della forza.”
I brani del discorso di Obama all’ONU che trattavano degli orrori commessi dallo Stato Islamico – il sedicente “califfato jihadista che ora viene distrutto dagli attacchi aerei statunitensi – erano notevolmente vividi, specialmente alla luce dei resoconti che dicono che il presidente ha scritto da solo gran parte del discorso.
“Questo gruppo ha terrorizzato chiunque abbia incrociato sulla propria strada in Iraq e Siria.,” ha detto. Madri, sorelle, figlie, hanno subito lo stupro usato come arma di guerra. Bambini innocenti sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco. I cadaveri sono stati gettati nelle fosse comuni. Le minoranze religiose sono state fatte morire di fame. Nel più cruento dei crimini di guerra immaginabili, esseri umani innocenti sono stati decapitati, e i video delle atrocità sono stati messi in circolazione in video pe scioccare la coscienza del mondo.”
Le linee seguenti sono un’eco della visione del mondo manichea che così spesso abbiamo sentito da George. W Bush: “Nessun Dio perdona questo orrore. Nessuna causa giustifica queste azioni. Non ci può essere nessun ragionamento, nessuna negoziazione con gente così malvagia.”
Mentre il presidente rifiutava “qualsiasi suggerimento di “uno scontro di civiltà” e insisteva che “gli Stati Uniti non sono e non saranno mai in guerra con l’Islam” – anche Bush dava le stesse rassicurazioni – Obama ha efficacemente impegnato il resto del proprio tempo del suo mandato a combattere l’estremismo jihadista su molteplici fronti.
Obama ha sfidato i paesi musulmani ad aiutare a combattere il jihadismo non soltanto in campo militare ma anche in quello ideologico. ”E’ ora di porre fine all’ipocrisia di coloro che accumulano ricchezza per mezzo dell’economia globale e poi trasferiscono i finanziamenti a coloro che insegnano ai bambini a distruggerla.”
Coloro che lo ascoltavano hanno capito il significato sottinteso: non basta che le nazioni come Arabia Saudita e Qatar entrino nella coalizione militare guidata dagli Stati Uniti contro lo Stato Islamico. Devono anche smettere di finanziare la diffusione della teologia radicale e di appoggiare le milizie islamiste in conflitti come la guerra civile siriana. Anche in questo caso, c’era un’eco non così tenue del punto fermo stabilito da Bush: “con noi o contro di noi”.
Il discorso fatto al Cairo e quello di questa settimana rieccheggiavano molti degli stessi temi, ma c’era una marcata differenza nel tono. Cinque anni fa Obama invitava i capi musulmani politici e religiosi a unirsi a lui per combattere l’estremismo violento. Ora chiede che loro lo facciano.
Il presidente avrebbe motivi per sostenere che se il suo approccio è cambiato, è perché che il mondo è cambiato. Le rivoluzioni della primavera araba hanno scatenato forze potenti che erano state per lungo tempo represse da regimi autoritari. Tra questi vi erano movimenti politico-religiosi che si sono precipitati a riempire i vuoti di potere che sono apparsi improvvisamente, e c’erano anche passioni sepolte da molto tempo, derivanti dalla divisione settaria tra Sunniti e Sciiti.
Ma anche Obama è cambiato. Al Cairo ha elencato le fonti di frizione tra l’Occidente e il mondo musulmano: al secondo posto, proprio dopo l’estremismo violento, c’era il conflitto irrisolto tra Israele e i palestinesi. Mercoledì, mentre chiariva che gli Stati Uniti sostengono ancora la soluzione dei due stati, Obama ha detto che “la situazione in Iraq, in Siria e in Libia dovrebbe guarire chiunque dall’illusione che il conflitto arabo-israeliano sia la principale fonte di problemi nella regione.”
Prima ancora di passare al Medio Oriente, il presidente ha avuto parole dure – molto poche – per le azioni della Russia in Ucraina che “mettono alla prova l’ordine del dopoguerra.” Il presidente ha promesso di “imporre un costo alla Russia per l’aggressione” e ha aggiunto che “invitiamo altri ad unirsi a noi dalla parte giusta della storia.”
Obama ha parlato delle tensioni razziali a Ferguson, in Missouri, come esempio di come gli Stati Uniti, espongono, affrontano e tentano di occuparsi dei propri problemi. Sembrava che sfidasse i leader riuniti lì a fare lo stesso.
Dall’inizio alla fine è stato uno dei discorsi più importanti della presidenza di Obama.
Finora.
L’indirizzo mail di Eugene Robinson è eugenerobinson@washpost.com
© 2014, Washington Post Writers Group
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: http://www.truthdig.com/report/item/bookends_of_a_presidency_20140926
Originale: non indicato
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2014 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0

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Un commento su “Gli estremi di una presidenza

  1. attilio cotroneo il said:

    Un solo pensiero hanno Obama e i suoi democratici adesso: recuperare con l’opinione pubblica statunitense una politica estera priva di ogni risultato. E se Putin tacerà sul bombardamento in Siria con il pretesto dell’Isis, chiederà un conto salato in Ucraina.

I commenti sono chiusi.